Ottanta anni fa la scomparsa di Emilio Materassi, campione dimenticato.
(articolo apparso su "Il Galletto" settembre 2008)

Lo scorso anno presi lo spunto per scrivere un breve articolo su Emilio Materassi da una strana coincidenza: il 9 settembre si correva, a Monza, il Gran Premio d’Italia, lo stesso giorno in cui, settantanove anni prima, nella stessa corsa e sulla stessa pista, aveva perso la vita in un tragico incidente il pilota borghigiano. Quest’anno l’occasione me la dà l’ottantesimo anniversario della scomparsa, ma l’importante per me, al di là delle ricorrenze o delle coincidenze, è parlare di Emilio Materassi, farlo conoscere, per quello che è stato in pista, un grande campione, e per quello che sarebbe potuto diventare dopo, un grande dirigente di scuderia o addirittura un costruttore di auto da corsa. Come Enzo Ferrari, prima di Enzo Ferrari. In queste poche righe vorrei parlare delle potenzialità che Emilio Materassi non ha potuto esprimere, del suo spirito innovativo, del suo coraggio anche fuori dalla pista, della sua intraprendenza. In un periodo in cui i campioni toscani del volante sono tutti membri della nobiltà (i conti Giulio e Carlo Masetti, Carlo Niccolini. Gastone Brilli Peri) o dell’alta borghesia (Bruno Presenti, Zaniratti, Benini), Materassi emerge lo stesso grazie alle sue capacità di pilota e di tecnico che spesso impiega per migliorare le auto di cui dispone. Diventato pilota, e poi concessionario, dell’Itala, prima cerca inutilmente di convincere la casa torinese a modificare le sue auto per renderle competitive, poi decide di fare da sé. Nel suo garage di Firenze modifica il telaio di un’Itala 55, poi, sempre dall’Itala che li aveva costruiti durante il periodo bellico ’15-’18 su licenza Hispano-Suiza, compra un motore d’aereo. Glielo vendono “a peso” poiché dopo al fine del conflitto i magazzini traboccano di questi residuati. Sempre nell’officina del suo “Autogarage Nazionale”, Materassi modifica anche il motore: toglie quattro cilindri, probabilmente per adattarlo allo chassis, porta la cilindrata a tremila centimetri cubici. Lavora senza orario, mangiando grandi quantità di gelato, alimento di cui è goloso ed alla fine nasce la sua “Itala Special”. E’ un mostro di quasi due tonnellate e le sue generose dimensioni fanno sì che diventi subito “l’Italona” e poi, una volta che Emilio Materassi l’aveva dipinta di un giallo brillante, la “canarona”. In pratica ha anticipato di oltre trent’anni gli assemblatori inglesi (i celebri John Cooper e Colin Chapman) che inventeranno, alla fine degli anni’50, l’odierna Formula 1. Con questo “ibrido” sfida quelli che ora verrebbero chiamati i “top teams”: l’Alfa Romeo, la Delage e soprattutto la Bugatti. E vince, ma sa bene che non può durare e dove non può fare la differenza con la sua guida aggressiva (come invece fa al Mugello ed al Circuito del Montenero) è costretto ad un ruolo secondario.Le prova tutte, prima con la Diatto, poi con la Maserati, infine centra il suo obiettivo: diventa pilota della Bugatti ed appena ha un mezzo competitivo vince la Targa Florio ed i Gran Premi di Tripoli e San Sebastian, tre delle più importanti corse dell’epoca. Emilio Materassi, tuttavia, ha un’altra idea e fa di tutto per metterla in pratica: va a Molsheim, in Alsazia, alla sede della Bugatti, per convincere Ettore Bugatti ad affidargli le sue auto. Non se ne fa di nulla, ma poco dopo viene a sapere che la Talbot-Darracq vende in blocco la sua squadra corse. Lui, intraprendente come sempre e anche ottimista, acquista le monoposto francesi siglate “700”, famose per avere un gran motore (progettato da un italiano, Bertarione), ma grossi problemi all’avantreno ed ai freni. Forse è anche questa imperfezione, questa possibilità di correggere lui l’errore di altri, che lo affascina. Si espone finanziariamente, ma fonda la “Scuderia Materassi” ed è proprio lui a usare per primo quel termine, “Scuderia” appunto, che diventerà leggendario per un cavallino rampante. Il simbolo della “Scuderia Materassi” è un omaggio a Firenze: giglio rosso in campo bianco. Non avrà vita facile. Ai problemi tecnici evidenziati dalle Talbot “700” si aggiunge l’annuncio del cambio di regolamento: dal Gran Premio d’Italia verrà istituita la limitazione sul peso che dovrà essere inferiore a 750 Kg. Le sue auto ne pesano 780 e rischiano di essere escluse dalle corse più importanti. Si mette di nuovo in moto, modifica pesantemente il treno anteriore, l’impianto frenante, ed al tempo stesso migliora lo sterzo.
Anche Nuvolari, intanto, ha fondato la sua Scuderia, a Mantova. Tazio ha avuto la possibilità di comprare le Bugatti, anche lui si è esposto parecchio, pur avendo altri mezzi economici. Fra i due esplode un’accesa rivalità: al Gran Premio di Tripoli un reclamo di Nuvolari, fondato, ma poco sportivo, impedisce a Emilio Materassi di prendere il via. Per Materassi significa perdere l’ingaggio che avrebbe dato ossigeno alle sue casse e rinviare l’esordio della “Scuderia Materassi” al Circuito d’Alessandria, il giorno in cui muore Pietro Bordino. Le cose sembrano aggiustarsi, vince al Mugello, sulle sue strade, per la quarta volta al Circuito del Montenero, ma il giorno della verità è quello del Gran Premio d’Italia a Monza, il 9 settembre 1928. Per quell’occasione Emilio Materassi schiera cinque Talbot: per sé, per Arcangeli, Brilli Peri, Brivio e Comotti. E’ una giornata decisiva per il suo futuro, forse troppo. La vigilia è avvelenata dalle polemiche con Nuvolari, i due si lanciano reciproche accuse d’irregolarità sul peso delle rispettive auto. La giuria se ne lava le mani, partiranno entrambi. L’ultima corsa di Emilio Materassi dura diciassette giri, tormentati, interrotti da due fermate ai box. Dopo la seconda il suo inseguimento furibondo finisce con una brusca ed inspiegabile deviazione verso sinistra mentre sta superando la Bugatti del bergamasco Giulio Foresti, all’ingresso del rettifilo, duecento metri dopo l’uscita della curva parabolica.Quando l’auto si ferma nel fossato dopo aver piroettato sul prato gremito si contano venti morti fra gli spettatori, oltre allo stesso Materassi. La corsa prosegue. Il regime, temendo che l’accaduto possa nuocere all’immagine di “un’Italia fascista in marcia verso il progresso”, impone che ci si dimentichi del luttuoso evento il prima possibile. Per questo il nome di Materassi viene presto bandito dalla cronaca e, una volta scagionato Giulio Foresti sulla cui auto non v’è traccia di collisione, le cause dell’incidente non verranno indagate a fondo. L’ipotesi più probabile, per quella che fino al giugno del ’55 con l’incidente di Le Mans è destinata ad essere ricordata come la peggior tragedia dell’automobilismo sportivo, resta quella di un cedimento meccanico. Già prima della gara, l’ingegner Pasquale Borracci, la cui figura è stata recentemente ricordata con la pubblicazione di un libro, aveva scritto su “Auto Italiana” : “Le Talbot, che saranno certamente presentate in gara dalla “scuderia” Materassi, pesano circa 780 kg. Sarà necessario, perché queste macchine siano ammesse in corsa, che venga sacrificato qualche pezzo accessorio non assolutamente indispensabile e, quel che è peggio, che sia alleggerito qualche organo a scapito della sua resistenza”. Parole che suonano come una premonizione. Di Emilio Materassi resta il ricordo di quello che è stato, le sue vittorie (quattro volte il Circuito del Montenero, due volte il Mugello, tre volte la Coppa della Perugina e quella delle Colline Pistoiesi, una volta la Targa Florio, il Gran Premio di Tripoli, quello di San Sebastian, la Coppa della Consuma, il Circuito di Bologna) e un senso di incompiuto per quello che la sorte gli ha tolto assieme alla vita. Con questo campione non sono stati generosi neppure nella sua terra se è vero che dell’Autodromo Internazionale del Mugello gli è stata intitolata solo una curva e che la statua che oggi si trova a San Piero a Sieve, vicino agli impianti sportivi, avrebbe trovato una più giusta collocazione, almeno nelle intenzioni di chi promosse l’iniziativa di realizzarla, ad uno degli ingressi del moderno impianto.


Emilio Materassi: il futuro gli è mancato.
[Articolo apparso su Microstoria - settembre 2009]


Ci sono finalmente pochi dubbi sul fatto che Emilio Materassi sia stato un grande campione del volante .
La sua fine tragica, a Monza il 9 settembre 1928, in un incidente che era costato la vita oltre, che al pilota mugellano, anche a una ventina di spettatori, aveva contribuito a farlo scivolare nell’oblìo.
Il regime fascista aveva considerato quell’incidente una sorta di onta nazionale e fatto di tutto perché se ne parlasse il meno possibile e soprattutto lo si dimenticasse alla svelta ed assieme a quella tragedia, inevitabilmente, venne dimenticato anche il grande Emilio.
In queste poche righe, vorrei anche ricordarlo per quello che non ha avuto il tempo di essere: un grande direttore di scuderia o addirittura un costruttore di auto da corsa.
Come Enzo Ferrari, prima di Enzo Ferrari.
Vorrei parlare del suo spirito innovativo, del suo coraggio anche fuori dalla pista, della sua intraprendenza.
In un periodo in cui i campioni toscani del volante sono tutti membri della nobiltà (i conti Giulio e Carlo Masetti, Gastone Brilli Peri) o dell’alta borghesia (Carlo Niccolini. Bruno Presenti, Zaniratti, Benini), Materassi emerge lo stesso grazie alle sue capacità di pilota e di tecnico che spesso impiega per migliorare le auto di cui dispone.
Questa sua abilità con gli utensili in mano lo aveva reso famoso nell’ambiente e meravigliava il suo migliore amico, Gastone Brilli Peri che delle auto apprezzava solo la velocità e manifestava il più assoluto disinteresse per le questioni meccaniche.
Emilio invece era abituato fin da ragazzo a riparare qualsiasi cosa avesse una catena, una pedivella, un motore, poi si era trovato a farlo per mestiere, quando, come autista della SITA, non era infrequente dover far mettere giudizio al motore di una corriera ferma sul ciglio della strada.
Non aveva studiato, la sua era l’università della strada.
Curioso, intelligente, intuitivo, questa sua verginità intellettuale faceva sì che fosse aperto alle soluzioni non omologate e che imparasse rapidamente.
Diventato pilota, e poi concessionario, dell’Itala, aveva cercato inutilmente di convincere la casa torinese a modificare le proprie auto per renderle competitive, accortosi che nessuno fra gli ingegneri piemontesi lo ascoltava, aveva deciso di fare da sé.
Nel suo garage di Firenze modifica il telaio di un’Itala 55, poi, sempre dall’Itala che li aveva costruiti durante il periodo bellico ’15-’18 su licenza Hispano-Suiza, compra un motore d’aereo.
Glielo vendono “a peso” poiché i magazzini traboccano di questi residuati.
Sempre nell’officina del suo “Autogarage Nazionale”, Materassi modifica anche il motore: toglie quattro cilindri, per adattarlo allo chassis, porta la cilindrata a quattromilasettecento centimetri cubici.
Lavora senza orario, mangiando grandi quantità di gelato, alimento di cui è goloso ed alla fine nasce la sua “Itala Special”.
E’ un mostro di quasi due tonnellate e le sue generose dimensioni fanno sì che diventi subito “l’Italona” e poi, una volta che Emilio Materassi l’aveva dipinta di un giallo brillante, la “canarona”.
In pratica ha anticipato di oltre trent’anni gli assemblatori inglesi (i celebri John Cooper e Colin Chapman) che inventeranno, alla fine degli anni’50, l’odierna Formula 1.
Con questo “ibrido” sfida quelli che ora verrebbero chiamati i “top teams”: l’Alfa Romeo, la Delage e soprattutto la Bugatti.
E vince, ma sa bene che non può durare e dove non può fare, come al Mugello ed al Circuito del Montenero, la differenza con la sua guida aggressiva è costretto ad un ruolo secondario.
Le prova tutte, prima con la Diatto, poi con la Maserati, infine centra il suo obiettivo: diventa pilota della Bugatti ed appena ha un mezzo competitivo vince la Targa Florio ed i Gran Premi di Tripoli e San Sebastian, tre delle più importanti corse dell’epoca.
Emilio Materassi, tuttavia, ha un’altra idea: vuole mettersi in proprio, cerca inutilmente di convincere Ettore Bugatti ad affidargli le sue auto, ma poco dopo viene a sapere che la Talbot-Darracq vende in blocco la sua squadra corse.
Lui, intraprendente come sempre e anche ottimista, acquista le monoposto francesi siglate “700”, famose per avere un gran motore (progettato da un italiano, Bertarione) e grossi problemi ad avantreno e freni.
Forse è anche la possibilità di correggere lui l’errore di altri, che lo affascina. Si espone finanziariamente, ma fonda la “Scuderia Materassi” ed è proprio lui a usare per primo quel termine, “Scuderia” appunto, che diventerà leggendario per un cavallino rampante.
Il simbolo della “Scuderia Materassi” è un omaggio a Firenze: giglio rosso in campo bianco.
Non avrà vita facile. Ai problemi tecnici evidenziati dalle Talbot “700” si aggiunge l’annuncio del cambio di regolamento: dal Gran Premio d’Italia verrà istituita la limitazione sul peso che dovrà essere inferiore a 750 Kg.
Le sue auto ne pesano 780 e rischiano di essere escluse dalle corse più importanti.
Si mette di nuovo in moto, modifica pesantemente il treno anteriore, l’impianto frenante, ed al tempo stesso migliora lo sterzo.
Ha speso molti soldi e quella di Monza, il 9 settembre 1928 è una giornata decisiva per il futuro suo e della Scuderia.
La vigilia è avvelenata dalle polemiche con Nuvolari, i due si lanciano reciproche accuse d’irregolarità sul peso delle rispettive auto. La giuria se ne lava le mani, partiranno entrambi.
L’ultima corsa di Emilio Materassi dura diciassette giri, tormentati, interrotti da due fermate ai box.
Dopo la seconda il suo inseguimento furibondo finisce con una brusca ed inspiegabile deviazione verso sinistra mentre sta superando la Bugatti del bergamasco Giulio Foresti, all’ingresso del rettifilo, duecento metri dopo l’uscita della curva parabolica.
Quando l’auto si ferma nel fossato dopo aver piroettato sul prato gremito si contano venti morti fra gli spettatori, oltre allo stesso Materassi.
La corsa prosegue.
Di Emilio Materassi resta il ricordo di quello che è stato, le sue vittorie (quattro volte il Circuito del Montenero, due volte il Mugello, tre volte la Coppa della Perugina e quella delle Colline Pistoiesi, una volta la Targa Florio, il Gran Premio di Tripoli, quello di San Sebastian, la Coppa della Consuma, il Circuito di Bologna) e un senso di incompiuto per il futuro che gli è mancato.